Restauro
Pittorico

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Il restauro di una superficie pittorica è quell’intervento il cui scopo è quello di ricreare un collegamento cromatico o cromatico e formale laddove siano presenti delle lacune o abrasioni della pellicola pittorica. Dobbiamo tener sempre presente che tra gli obiettivi del restauro c’è senz’altro quello di restituire all’opera la fruibilità, un’esigenza che, oggi più che mai, coinvolge larghe fasce di pubblico. Spesso “gli ammiratori” delle opere sono impreparati a leggere un dipinto che presenta delle mancanze, come accadrebbe nella maggior parte dei casi se il restauro si limitasse esclusivamente alla conservazione del dato fisico. Detto ciò, resta fondamentale la valutazione oggettiva di come una lacuna, per dimensioni e posizione, possa danneggiare la visione dell’opera: è stato osservato che la conservazione pura e semplice di un’immagine mutila può spronare l’osservatore a una restituzione fantastica, e comunque fondata sul suo grado di cultura. Fermo restando la necessità dell’intervento, nel rispetto di uno dei postulati fondamentali del restauro, questo verrà eseguito, qualsiasi tecnica sia stata scelta, ad acquerello, a guazzo o con colori a vernice, in modo da avere le maggiori garanzie di reversibilità dell’operazione. PHASE ha disponibili prodotti e attrezzature necessari per affrontare l’intervento di restauro con ognuna di queste tecniche.

Cenni storici
La pittura su tela era praticata fin dall’antichità, soprattutto per gli stendardi, tanto che vi sono esempi di gonfaloni di epoca medioevale in seta dipinti. Si diffuse in modo più consistente verso la fine del XV secolo, specialmente a Venezia, dove il clima lagunare poco adatto alla conservazione degli affreschi favorì l’adozione di supporti più maneggevoli delle tavole: ebbe così inizio l’uso di dipingere su grandi tele, i “teleri”. 

Le fibre usate per le tele dipinte sono da sempre di origine vegetale (canapa, lino, cotone) o animale (seta). Le prime pitture da cavalletto su tela vennero eseguite su supporti di lino molto sottili quasi senza preparazione, come la tela rensa o tela di Reims usata dal Mantegna e dal Bellini, sostituita poi dalla tela di canapa, tessuta a spina di pesce, diffusa a Venezia nel XVI secolo. La sua struttura ruvida portò nel ‘500 un cambiamento nella tecnica pittorica, che vide i piccoli tratti sottili della pittura a tempera sostituiti dalle spesse pennellate della pittura a olio. Nel XVII secolo furono spesso usate tele a trama piuttosto larga dove l’imprimitura veniva stesa a spatola per far sì che vi rimanesse marcata la struttura del tessuto.

Nel XVIII secolo prevalse l’uso dei tessuti di canapa più fitti e sottili, tanto più con la diffusione dei telai meccanici. Nel XIX secolo infine si cominciarono ad usare tele di tutti i tipi, anche di cotone, e si diffuse l’applicazione delle preparazioni industriali. Tuttavia è possibile trovare impiegati come supporti per dipinti anche tessuti operati.

La canapa (cannabis sativa) fu di gran lunga la fibra più usata per le tele dipinte fino alla metà dell’Ottocento: la fibra grezza, ricavata per macerazione dei fusti, è costituita da cellulosa mista a pectina, lignina e altre sostanze. Chimicamente e fisicamente simile al lino, (canapa, lino e iuta appartengono infatti alle fibre liberiane, cioè contenute nel libro, ovvero nella parte compresa tra la corteccia e il fusto di molte piante dicotiledoni), presenta una notevole rigidità che le rende più adatte all’impiego come supporto per i dipinti.

Il lino (linum usitatussimum), ottenuto come la canapa per macerazione dei fusti, contiene il 70-80% di cellulosa: tre le prime colture domesticate, è stato ampiamente coltivato fin dall’antichità sia per i suoi semi sia per la sua fibra. Il cotone (Gossypium herbaceum), ricavato dal frutto dell’omonima pianta, è costituito dal 90% di cellulosa e per questo è molto igroscopico e attaccabile dagli acidi e dagli agenti ossidanti. In pittura fu in uso dalla seconda metà dell’800. La seta, ottenuta dai bozzoli dei bachi da seta, fu più spesso usata per stendardi dipinti, anche se non mancano esempi di impiego per quadri di notevoli dimensioni.

Il deterioramento dei tessuti è in gran parte dovuto al degrado della cellulosa che, eccetto per la seta, ne costituisce il maggior componente: conseguenza dell’esposizione del tessuto all’atmosfera, può anche essere accelerato da sostanze presenti accidentalmente nell’ambiente di conservazione. Le forme di deterioramento della cellulosa che costituisce i filati riguardano la sua composizione chimica:

  • perdita di elasticità: l’alta igroscopicità causa variazioni dimensionali in seguito alle variazioni termoigrometriche che portano alla perdita dell’elasticità, dovuta anche alla tensione delle tele sul telaio e al loro peso. I supporti più resistenti sono quelli di canapa con tessitura a saglia o a spina di pesce.
  • ossidazione: causa la formazione di oxycellulosa per cui i tessuti diventano più scuri e fragili. Questo processo è accelerato dall’esposizione alla luce e dalla presenza di oli siccativi e metalli, spesso presenti negli stessi pigmenti.
  • decomposizione a causa degli acidi: presenti a causa dell’inquinamento atmosferico, rompono la struttura polimerica della cellulosa trasformandola in idrocellulosa.
  • attacco microbilogico: interessa principalmente i supporti per l’uso di colle animali e vegetali, ma esistono anche microrganismi cellolosolitici.
  • errati interventi di restauro: l’applicazione di sostanze irreversibili, dannose o potenzialmente soggette a attacchi biologici, tecniche errate o stirature eccessive in termini di pressione o calore possono causare danni gravissimi e irreparabili.

Gli interventi di restauro su tele dipinte possono interessare separatamente il supporto e la pellicola pittorica: spesso il danno al supporto si trasmette al colore, motivo per cui in passato spesso un danno della pellicola si rimediava “foderando” il dipinto, ovvero incollando sul retro della tela originale una nuova tela. Questo intervento è oggi considerato invasivo.

Sebbene la conoscenza dei materiali e delle tecniche pittoriche antiche non sia sufficiente a garantire un buon restauro, è indispensabile per individuare il giusto metodo da seguire tra l’uso di privilegiare l’immagine a scapito della struttura di un dipinto e lo scientifismo di interventi radicali, avvalendosi dei nuovi metodi di indagine per una migliore conoscenza dei prodotti artistici.

Le principali tecniche pittoriche antiche, precedenti l’introduzione dei colori industriali, vengono distinte in base al legante usato, individuando così le due grandi classi della pittura a tempera e della pittura a olio. Parallelamente, i legnati possono essere distinti in base alla loro natura in acquosi, emulsioni e oli siccativi.

  • I leganti acquosi sono usati per la pittura a tempera e ad acquerello, e sono di natura:
    • animale: a base di sostanze proteiche quali uovo di gallina, colla animale (colla di pelle o colla di pesce), caseina;
    • vegetale: gomme (arabica, di ciliegio, adragante).
  • Le emulsioni, sono principalmente: gommose (oli o chiara d’uovo e gomma), composte da colla animale e oli siccativi o la tempera “grassa”, costituita da un’emulsione di tuorlo d’uovo, oli siccativi e resine.
  • Gli oli siccativi sono impiegati per la pittura a olio come medium: in occidente i più comuni sono l’olio di lino, di noce e di papavero, che stesi in strato sottile essiccano e solidificano in tempi brevi. Affinché un olio siccativo sia tale deve contenere almeno il 65% di acidi grassi insaturi, in particolare l’acido linoleico. Invecchiando ingialliscono, diventano più fragili, insolubili nei solventi e più trasparenti, rendendo talvolta visibile la stesura precedente.
  • Oltre a questi ricordiamo gli oli essenziali, ricavati dalla distillazione di alcune resine, come ad esempio l’essenza di trementina, usati come diluenti degli oli siccativi e come solventi delle resine molli.

Le principali tecniche pittoriche
Olio, tecnica già in uso nel XII secolo ma diffusa verso la fine del XV secolo in concomitanza con l’impiego della pittura su tela. Questa tecnica permetteva una migliore rappresentazione della tridimensionalità per una migliore resa dei chiari, più brillanti, e degli scuri, più opachi, insieme a una maggior diversificazione della stesura pittorica , da venature trasparenti a impasti più densi. Vasari intorno alla metà del ‘500 scrisse: <<Fu una bellissima invenzione ed una gran comodità all’arte della pittura il trovare il colorito ad olio […] Questa maniera di colorire accende più i colori né altro bisogna che diligenza e amore, perché l’olio in sé reca il colorito più morbido, più dolce e dilicato di unione e di sfumatura in maniera più facile che gli altri e mentre che fresco si lavorai colori si mescolano e si uniscono l’uno con l’altro più facilmente>>.

Tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento i pittori veneti svilupparono ulteriormente questa tecnica impiegando sistematicamente come supporto le tele al posto delle tavole e sostituendo le resine dure con quelle molli sciolte in oli essenziali, più adatte ad un supporto leggero ed elastico come la tela. Di conseguenza si delineò un nuovo stile di pittura, più rapida e sciolta, in cui le immagini erano costruite con spesse pennellate di colore sulle quali, ad asciugatura avvenuta, erano eseguite le rifiniture con colori semitrasparenti (velature). Le imprimiture erano colorate e su queste venivano abbozzate le figure con spesse pennellate di colori chiari. Questa tecnica fu ripresa dai pittori seicenteschi anche su supporti lignei.

Nel ‘700 si usarono spesso impasti magri, cioè composti in gran parte da oli essenziali, che rendevano i colori più duri e opachi.

A inizio ‘800 prevalse l’uso di stesure sottili e compatte, più avanti si susseguirono diverse teorie che portarono a un’estrema varietà di tecniche e di movimenti artistici, quali impressionisti, macchiaioli, art nouveau, simbolismo, ecc..

La pittura a tempera ebbe un impiego assai vasto e prolungato nel tempo, principalmente a partire dal XII fino al XV secolo e soprattutto su supporti lignei, ma in base al tipo di stesura del colore si possono distinguere due grandi periodi: il primo dal XII secolo all’inizio del XIV secolo, con sovrapposizioni successive di strati pittorici, mentre nel secondo periodo dall’inizio del XIV alla metà del XV secolo il colore veniva steso per graduale accostamento, fusione e velature successive. Nella seconda metà del Quattrocento infine si sviluppò l’uso della velatura ed il disegno di base si fece sempre più particolareggiato, con l’impiego di tecniche miste con olio su tempera o “tempera grassa”.
Le ricette della pittura a tempera sono varie così come i suoi esiti estetici e di durata, generalmente si contraddistingue per uno strato solido, brillante e resistente nel tempo.

Per approfondimenti vd. G. Perusini, Il restauro dei dipinti e delle strutture lignee.